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Una storia di amore materno e toxoplasmosi

Questa è una storia molto lunga che cercherò di raccontare in breve. È una storia che forse può insegnare qualcosa. E soprattutto è una storia sull’amore materno che nasce quando dentro di noi inizia a crescere un feto.
Il mio viaggio di mamma è iniziato molto lontano. In un paese bellissimo e affascinante. Ero in Indonesia quando ho iniziato ad avvertire qualcosa di nuovo dentro di me. Un olfatto smisurato, poca fame, tanta energia. All’aeroporto di Singapore io e mio marito decidiamo di comprare un test. Stavamo rientrando in Italia dal nostro viaggio di nozze. Il coronamento della nostra felicità è arrivato lì. In mezzo a gente da tutto il mondo. Eravamo straniti, ubriachi, increduli. Oscar era dentro di me e io ero al centro del mondo.
Il rientro: dodici ore di volo, scali, stanchezza e un nuovo progetto di cui parlare. Con gli occhi che ci brillavano di luce nuova tra paure ed eccitazione.
Appena tornati a casa – prima di dirlo a chiunque – abbiamo prenotato una visita ginecologica (era agosto e io non avevo un ginecologo di fiducia). Siamo andati da un conoscente e lì in una stanza buia abbiamo sentito il primo battito del suo cuore. Il suono più bello che avessi mai sentito. Sinfonia della vita. Ero mamma.
Il bravo ginecologo – come da protocollo – mi prescrive una serie di analisi. Dopo poche ore ero già al primo prelievo. Non ho mai avuto paura di queste cose perché – per fortuna – ho sempre goduto di ottima salute. Ho ritirato le mie prime analisi l’8 agosto.
Avevo la toxoplasmosi. Una di quelle cose che non sai nemmeno cosa sia. Quelle parole ascoltate da lontano.
Chiamai il ginecologo. Dovevo sottopormi immediatamente ad approfondimenti per capire quando l’avessi contratta. Tornata a casa commisi il grande errore: cercare sul web tutte le informazioni possibili. Una malattia trasmessa dalle feci dei gatti che, se contratta in gravidanza, può portare a gravissime conseguenze per il feto (e mi fermo qui). 
 
E’ iniziato così il più brutto incubo della mia vita. Da quel momento mi son dovuta sottoporre ad una serie infinita di controlli(in vari centri, pubblici e privati). Ho cambiato ginecologo perché ho ritenuto di dover essere seguita da uno di quelli bravi. Blasonati. Che ti fanno partorire nella struttura di cui sono primari. Ho speso una barca di soldi. Tuttavia il mio medico è stato molto bravo sin da subito e soprattutto rassicurante.
Sono stata visitata da infettivologi. Ho dovuto fare l’amniocentesi al 5° mese (perché prima non si sarebbe potuta verificare la presenza del virus nel sacco) e portarla ad analizzare all’ospedale di Tricase. Perché a Bari (anche al Policlinico) non fanno questo tipo di approfondimento.
Fino a quel momento le analisi confermavano che avevo contratto la malattia nel primo trimestre di gravidanza con rischi devastanti per il feto. Eppure le ecografie ripetute non davano alcun esito anomalo, anzi. Il feto cresceva benissimo. E io deperivo. Avevo una bella pancia ma diventavo fisicamente più magra. Ah dimenticavo. Da subito ho dovuto assumere la Rovamicina, un antibiotico per la cura della Toxoplasmosi. Per nove mesi è stata la mia compagna di viaggio. Con notevoli conseguenze per il mio stomaco.
L’esito – attesissimo – dell’amniocentesi è arrivato dopo 24 ore dal ‘viaggio della speranza’. Non c’erano tracce di virus nel liquido. Tuttavia avrei dovuto continuare la cura. A tal proposito segnalo l’ospedale di Tricase e tutta l’equipe di infettivologia per la professionalità con la quale gestiscono casi come il mio. Sono un centro di Eccellenza sulle malattie infettive in gravidanza e in pochi lo conoscono.
La verità è che non ho mai pensato di essere malata. Ne’ ho mai pensato che ci fosse qualcosa che non andasse nel mio bambino. Ho avuto molta forza e molta determinazione soprattutto quando mi dicevano: “Ma sei sicura?”. Sono stata una mamma da subito e ho combattuto la battaglia più dura contro medici, disinformazione e credenze popolari. Ho conosciuto – in questa avventura – solo pochi professionisti, pochissimi. Purtroppo pensavo di conoscere molto meglio le persone che mi stavano intorno e invece ho scoperto – a mie spese – che pochissimi hanno capito i miei nove mesi di travaglio. Se tornassi indietro non prenderei tutte quelle medicine. Non cercherei sul web informazioni. Ascolterei solo il mio sesto senso di mamma. E quello non ha mai sbagliato. Oggi più che mai lo so.
Ho scritto brevemente questa storia (volutamente senza riferimenti ai nomi di medici ed esperti) per lanciare un segnale a tutte le mamme incinta. I controlli sono doverosi ma l’accanimento non fa mai bene. Ne’ alla mamma ne’ al bimbo. Anche nel caso in cui ci dovessero essere anomalie nelle analisi, non bisogna precipitare le diagnosi e ingigantire i problemi. Da mamma fermamente contraria all’aborto ritengo che il sesto senso materno sia la miglior diagnosi. E che le cure – a qualsiasi tipo di problema nel corso della gestazione – siano la pazienza, l’ottimismo e l’affetto delle persone che ami.

Una frase mi è rimasta nella mente tra tutte quelle ascoltate da decine di medici veri, presunti o improvvisati. Una frase di un medico ma soprattutto di un’altra mamma: “I figli non si scelgono al supermercato”. So di aprire così un grande dibattito. Ma il mio pensiero è questo e nasce da un’esperienza sofferta e a lieto fine. Grazie a mio figlio. Alla sua forza, sin da  microbo.