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Tornare al lavoro dopo la maternità: strategie per una scelta consapevole.

Tornare al lavoro come prima per non bruciarsi le prospettive di crescita? Tornare con un orario ridotto per conciliare i diversi ambiti della propria vita? Non tornare perché non si può più fare il lavoro allo stesso modo di prima?

Anche decisioni accuratamente pianificate si possono scontrare, soprattutto quando la mamma è al primo figlio, con la nuova realtà nella quale ci si trova catapultate dopo la nascita.

E così il periodo che precede il rientro al lavoro è spesso caratterizzato da dubbi sulla propria scelta, da timori ed ansie, da desideri ed aspettative e da un forte carico di emozioni anche contrastanti tra loro.

 

Quali sono i principali elementi di conflitto?

La maternità porta con sé una naturale ambivalenza tra due diverse polarità: da una parte c’è l’essere madre, generosa, disponibile, solida ed accudente per il proprio figlio, dall’altra c’è il desiderio di restare figlia, compagna, professionista e dunque, a seconda degli ambiti, bisognosa e accudita, complice e seduttiva, autonoma e competente.

E ancora, il dilemma tra la voglia di stare con il proprio bambino, per curarlo, stabilire un legame solido e continuare quella simbiosi dei primi mesi che, se è stata vissuta positivamente, ha dato conferma della propria adeguatezza come mamma; e la voglia di rispondere alle altre diverse pulsioni che convivono in ogni essere umano, la realizzazione, la crescita, l’apprendimento. Queste spinte vengono vissute in modo conflittuale e con sensi di colpa verso l’uno o l’altro dei due ambiti o verso entrambi. Non è raro sentire affermazioni simili a questa: “quando sono al lavoro penso al mio bimbo e mi sento in colpa verso di lui, d’altra parte quando sono a casa penso ai miei colleghi che sono ancora in ufficio ed al lavoro che avrei dovuto fare io”.

Da cosa sono generati questi dilemmi?

Certamente l’ambiente socioculturale in cui viviamo pone a tutte le donne delle pressioni cui non è facile sottrarsi: il lavoro di cura viene valorizzato meno di quello di produzione; i modelli enfatizzati dai media mostrano mamme che, con successo e buonumore, fanno del multitasking la loro filosofia di vita; i fattori di scelta delle donne di cui normalmente si parla riguardano la valutazione economica e la presenza di strutture per i bambini; sono poco espressi i bisogni delle madri di stare con i propri bambini.

Oltre che dalla società, il giudizio su cosa vuol dire essere mamme e professioniste adeguate, viene soprattutto dai modelli e dai giudizi delle figure di riferimento della nostra vita sulle quali è importante soffermarsi. E allora vale la pena di ripercorrere i modelli appresi dai nostri genitori ed in particolare le scelte che hanno fatto le mamme e i papà a loro tempo. Vi sembravano soddisfatti? Quali erano le qualità che ritenevano essenziali sul lavoro e che, esplicitamente o implicitamente, vi hanno trasmesso? Che idee avevano sui tempi e sulle modalità di ritorno al lavoro delle mamme? E sulla opportunità di passare molto tempo con il proprio bambino prima di rientrare? Vi hanno dato dei consigli in merito?

Sono proprio queste le origini dei valori, delle regole, delle opinioni che utilizziamo per definire la nostra scelta!

Tuttavia, poiché non agiamo solo in base a principi razionali, questi “precetti” si andranno a confrontare con le emozioni che non possiamo fare a meno di provare ed è qui che potrebbero nascere dei dilemmi; se le regole ed i modelli appresi nel passato sono in contrasto con i desideri attuali e non riusciamo a distinguere gli uni dagli altri. Immaginiamo ad esempio che in una famiglia sia stato espresso il giudizio che essere una buona mamma voglia dire dedicarsi in toto al proprio bambino anche sacrificando alcune ambizioni o desideri personali, opinione rafforzata dal fatto che la mamma in quella famiglia abbia realmente lasciato o limitato il suo lavoro per dedicarsi alla famiglia. Una donna che ha vissuto questo modello può comunque decidere di seguire il suo desiderio di realizzazione professionale, affidando suo figlio ai nonni, ad una babysitter oppure a un nido. Su questa scelta, però, peserà l’antico giudizio interiorizzato in famiglia per cui è probabile che sperimenterà sensi di colpa o di inadeguatezza come mamma.

Quali sono dunque i passi necessari per gestire questo delicato momento?

  • Provate a esplicitarei fattori che stanno guidando la vostra scelta: quali desideri, pensieri, timori, avete? Quali sono le vostre aspettative se tornate al lavoro? Date ascolto a tutte le parti in gioco, anche a quelle che vi sembrano in contraddizione; ascoltate l’ istinto e le emozioni; sono una importante guida per il vostro benessere.
  • Siate consapevoli che le persone sono spinte da pulsioni diverse: la sopravvivenza, l’apprendimento e la crescita, la possibilità di amare ed essere amati, la realizzazione di sé, e che un buon equilibrio di vita deve far si che vengano tutte espresse nella vita.
  • Siate consapevoli che non esiste una ricetta unica sull’equilibrio vita e lavoro che vada bene per ogni madre. La consapevolezza dei bisogni propri e del proprio bambino è ciò che consente di scegliere la strada migliore per ciascuna.
  • Riflettete sui modelli che vi influenzano, materni e paterni, su come questi, a volte, possono essere in contraddizione tra loro o con i vostri bisogni, rischiando di generare scelte poco legate alla realtà o al vostro benessere.
  • Sappiate che è possibile modificare i modelli appresi se verificate che non sono in linea con i vostri bisogni. Datevi il permesso di decidere in autonomia cosa potete “tenere” e cosa invece volete lasciare di quanto avete sperimentato perchè non vi appartiene più.
  • Identifcate quali alternative avete a disposizione, verificate su quali supporti potete contare e provate a delegare alcuni compiti di cura del bambino prima di riprendere il lavoro.
  • Negoziate con il vostro datore di lavoro le modalità di rientro, testate se sono possibili spazi di flessibilità oraria o di telelavoro, verificate le reciproche aspettative per vedere se sono realistiche;
  • Prendetevi il tempo che vi sembra necessario; una decisione consapevole vi permetterà di ridurre dubbi e sensi di colpa, generando l’energia necessaria per gestire i diversi ambiti.

 

Maria Vittoria Colucci
Counselor certificata e Consulente organizzativa – Matrioskagroup


Matrioskagroup -  Organizza percorsi e progetti per supportare le donne e le organizzazioni a gestire la fase di rientro al lavoro. L’obiettivo è di aiutare le donne ad effettuare la scelta di conciliazione migliore per loro e di favorirne l’eventuale rientro al lavoro; per le organizzazioni, di mantenere preziosi talenti femminili e gestire al meglio la diversity interna.

Perinformazioni:  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  
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Cos’è il counseling
Il counseling professionale punta a migliorare la qualità di vita delle persone; attraverso un percorso breve di ascolto e riflessione, aiuta a superare le difficoltà connesse a naturali processi evolutivi, fasi di transizione o stati di crisi, sfruttando le proprie risorse interiori e individuando nuove possibilità di comportamento. Un percorso di counseling consiste in una serie di colloqui, guidati da un professionista specificamente formato, chiamato counselor, che utilizza varie metodologie incentrate sull’ascolto attivo e mutuate da diversi orientamenti teorici. Si tratta quindi di una scelta ottimale per chi sta incontrando alcune difficoltà di vita ma non presenta disturbi o patologie. La focalizzazione su un tema specifico e la definizione di tempi circoscritti rendono questo tipo di intervento particolarmente utile in caso di scelte o situazioni di conflitto interno o esterno. Per informazioni www.assocounseling.it